
Fonte :www.albanesi.it
Cos’è il laser
Con questo acronimo ci si vuol riferire ad apparecchiature che emettono fasci di luce coerenti e monocromatiche. Il primo dispositivo laser fu messo a punto il 16 maggio 1960 a opera del fisico statunitense Theodore Harold Maiman. Oggi, la tecnologia laser viene impiegata nei settori più svariati; anche in campo medico il laser ha trovato diverse e interessanti modalità di impiego. Le caratteristiche più interessanti della luce laser, quelle che hanno permesso la sua utilizzazione anche in campi particolarmente delicati come l’oftalmologia e la microchirurgia, sono sostanzialmente quattro: direzionalità, monocromaticità, brillanza e coerenza. Sfruttando queste caratteristiche si è in grado di progettare dispositivi sempre più sofisticati che permettono, specialmente in campo terapeutico, di compiere operazioni impensabili fino a pochi decenni di anni fa; basti pensare all’impiego del laser nel campo della chirurgia, oggi è infatti possibile compiere interventi chirurgici sempre meno invasivi rimuovendo le lesioni senza danneggiare, o quasi, i tessuti circostanti.
Laser e fisioterapia
Ovviamente l’azione può anche essere negativa (si pensi per esempio al fatto che si tende a proteggere sempre gli occhi durante la terapia per evitare danni alla retina e che molti laser sono utilizzati in chirurgia!). Non a caso la migliore strumentazione presente sul mercato ha tutte le protezioni opportune per evitare gli effetti collaterali di un uso eccessivo o improprio del laser.
Scopi della laserterapia
Gli scopi della laserterapia sono sostanzialmente due: antidolorifico e antinfiammatorio.
Nello sportivo il primo effetto dovrebbe riguardare solo i professionisti, perché, nella stragrande maggioranza dei casi, correre sul dolore non fa altro che allungare i tempi di guarigione (un professionista può per esempio ricorrere a una terapia antidolorifica per non saltare un campionato del mondo).
L’azione antidolorifica è dovuta all’aumento della soglia della percezione delle terminazioni nervose e dalla liberazione di endorfine.
L’effetto antinfiammatorio è dovuto all’aumento del flusso sanguigno conseguente alla vasodilatazione.
L’azione antiedemigena (molte infiammazioni sono accompagnate da edemi) è dovuta alla modifica della pressione idrostatica intracapillare.
I limiti della laserterapia
Il primo è sicuramente legato all’azione stessa del laser: un giusto dosaggio può essere molto difficile da realizzare; per evitare gli effetti collaterali è necessario adottare valori di intervento che sulla media della popolazione non fanno danni. In altri termini, non sempre è possibile personalizzare al massimo l’interazione fra laser e sistema biologico (tale personalizzazione può essere un boomerang se lasciata al terapeuta dotato di strumentazione senza feedback). Molti laser (per esempio quelli a elio-neon) hanno un’azione talmente blanda che, se non fanno danni, sono del tutto marginali nella cura. Quindi un punto fondamentale è che il laser abbia una potenza minima.
La seconda difficoltà è rappresentata dal fatto che il laser si limita ad accelerare i processi di guarigione; non è difficile trovare nelle pubblicità della strumentazione percentuali di guarigione dell’80% dei casi; ciò è vero, ma non dice che nel 75% dei casi la patologia sarebbe guarita con il semplice riposo! Più interessante l’indice di efficienza definito come E=1 – TG/TR, dove TG è il tempo reale di guarigione, mentre TR è il tempo necessario per guarire col solo riposo.
L’indice di efficienza dei laser dipende purtroppo dal tipo di laser e dalla patologia, andando da 0 a un 50%, cioè dal non fare nulla a dimezzare i tempi di guarigione!
L’ultima frase introduce il terzo limite che è rappresentato dalla patologia. L’efficienza della laserterapia non è costante, ma cambia al variare della patologia trattata: è massima nelle patologie dove la zona interessata è molto localizzata e superficiale ed è minima dove è diffusa e profonda.
Per esempio è massima in una tendinite dell’achilleo e minima in una pubalgia.
Come valutare un laser?
La domanda è da un milione di euro, visto che la risposta richiederebbe un esame approfondito della strumentazione.
L’azione biologica del laser dipende:
- dalle caratteristiche del tessuto che caratterizza l’assorbimento, la riflessione o la trasmissione di energia;
- dalla lunghezza d’onda (che va dai 632 nm dei laser a elio-neon ai 10.600 nm dei laser ad anidride carbonica);
- dalla densità di potenza (cioè dalla potenza sull’unità di superficie);
- dall’inclinazione del raggio laser utilizzato che deve essere il più possibile ortogonale rispetto alla superficie da trattare per evitare la rifrazione;
- dal tempo di esposizione.
Semplificando il discorso potremmo dire che i laser si classificano in base alla potenza, per esempio quelli a elio-neon o a diodo semiconduttore sono a bassa potenza (soft-laser; con potenze per esempio attorno ai 500 mWatt), mentre altri, come per esempio quelli a neodimio YAG o a CO2, sono ad alta potenza (power-laser). Per esempio, un laser a CO2 è capace di produrre una notevole potenza di uscita in funzione dell’alta efficienza (circa il 30% rispetto allo 0,1% della maggior parte dei laser a elio-neon). Quindi:
escludere i soft-laser!
salve x favore la leser terapia al braccio e’ a pagamento o esiste una convenzione asl?
grazie