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MARATONA: IL MURO DEL 30.o CHILOMETRO

 

Ogni maratona nazionale di un certo spessore per me rappresenta un incubo. Il lunedì dopo la maratona di Roma 2006, mi sono arrivate molte mail di maratoneti che hanno incontrato il muro e altre stanno arrivando…
C’è chi scrive sinteticamente un “Ma perché sono crollato?” e chi mi riversa addosso una marea di dati ingestibili. Prima di affrontare l’argomento dal punto di vista tecnico, preferirei, come è mio stile, interpretare la situazione dal punto di vista psicologico.
È innegabile che chi non comprende il motivo del crollo ha affrontato la maratona troppo allegramente, senza conoscere (o presumendo di conoscere senza averli studiati, il che è peggio) i meccanismi della corsa di Filippide. Quindi considerate il muro come una giusta lezione di vita: chi non capisce, in prima persona, cosa sta facendo, inevitabilmente avrà dei problemi.
Il muro è lo spauracchio di tutti i maratoneti, il crollo improvviso che si manifesta dal trentesimo al trentacinquesimo chilometro; attribuito all’esaurimento delle scorte organiche di carboidrati, esso è dovuto sostanzialmente a due fattori:

Il primo punto è percentualmente più probabile negli atleti che corrono la maratona sotto le 3h30′, mentre il secondo è più frequente in coloro che corrono la gara sopra le 3h30′. Purtroppo molti runner assommano le due cause e finiscono murati in maniera veramente drammatica.

L’eccessiva velocità di gara

Gli errori classici sono:

  • l’atleta non conosce il suo valore teorico;
  • l’atleta non conosce il suo valore pratico;
  • l’atleta vuole correre comunque secondo le sue ambizioni e non secondo il suo valore.

Valore teorico – Prima di affrontare una maratona è necessario conoscere il proprio valore teorico desunto dai tempi su distanze inferiori, valore che può servire come base di partenza per l’avventura (salvo poi aggiustamenti anche notevoli). Senza una conoscenza del valore teorico, ogni programma d’allenamento per la maratona rischia di essere puramente casuale, portando a risultati casuali.
Valore pratico – Tutti sanno che il passaggio dalla mezza alla maratona è molto più difficile di quello dai 10000 m alla mezza perché intervengono fattori energetici che possono risultare decisivi per la prestazione. Semplicemente, l’atleta non ha a disposizione una quantità sufficiente di carboidrati per terminare la gara e deve imparare a bruciare i grassi e le proteine per terminare la prova senza crolli.
Come spiegato nell’articolo La corsa: consumi energetici e carburanti, il carburante impiegato in maratona dipende da:
a) la velocità a cui si corre;
b) il grado di allenamento;
c) le capacità di recupero.
Un atleta che corre un 10000 a ritmo gara spende quasi esclusivamente carboidrati; se li corre a ritmo lento brucerà comunque anche grassi. Allungando la distanza, il contributo dei grassi e delle proteine diventa importante quanto più l’atleta è allenato e quanto più possiede capacità di recupero. Quest’ultimo punto è importante: chi si allena tre o quattro volte alla settimana non corre praticamente mai in condizioni di deplezione di glicogeno, cioè ha sempre carboidrati a disposizione e il suo fisico non imparerà certo a usare i grassi e le proteine; analogamente chi fa i lunghissimi troppo lenti impara a bruciare i grassi alla velocità dei lunghissimi, ma poi quando correrà a ritmo maratona (nettamente più veloce di quello dei lunghissimi) ritornerà a bruciare i carboidrati.
A seconda della capacità di bruciare i grassi l’atleta ha due strategie:
a) correre la maratona decisamente sopra il suo tempo teorico;
b) correre la maratona vicino al suo tempo teorico dopo aver ottimizzato l’allenamento innalzando la frazione di grassi che brucia al ritmo maratona.
Esistono molti test per stabilire il valore pratico; alcuni di essi sono inaffidabili, altri (come il test di Yasso) sono solo condizioni necessarie, altri invece sono molto attendibili. Questi ultimi analizzano soprattutto i risultati dell’atleta durante i lunghissimi di preparazione. L’analisi dei lunghissimi è cioè il modo migliore di stabilire il valore pratico dell’atleta. Purtroppo può essere fatta solo da un allenatore o da un atleta sufficientemente evoluto ed è poi legata alla reale comprensione del concetto di lunghissimo.
Una nota: sbagliare anche di soli 5″/km il valore pratico farà sicuramente incontrare il muro. Nessun professionista parte 5″/km più veloce di quanto valga.

Provate a chiedere a Gebrselassie di tentare il mondiale correndo la maratona in 2h02′ (SOLO 4″/km circa in meno della sua miglior prestazione) e, visto che è gentile, vi sorriderà come un genitore al suo bambino che gli fa la domanda più ingenua del mondo.

Ambizione – Di solito è proprio l’ambizione che fa incontrare il muro. L’atleta diventa sordo alla realtà, vuole fare il suo record, vuole scendere sotto le tre ore ecc. Si aggancia al pacemaker e va… Va dove lo porta il cuore… finché non incontra il muro frantumandocisi contro insieme ai propri sogni.
Da cosa è rivelata la propensione a dare un eccessivo peso all’ambizione anziché al proprio reale valore?

Una prima metà più veloce della seconda è spesso indice di sopravvalutazione da parte dell’atleta.

Non è affatto vero che “in maratona bisogna mettere fieno in cascina perché poi si cala comunque”. I professionisti non calano affatto o calano di pochissimo (chi crolla confessa candidamente di aver sbagliato tutto…), anzi ormai è usuale che la seconda parte sia più veloce della prima.
Quindi se si incontra il muro per ambizione, ci si cosparga il capo di cenere e si diventi più modesti: la prossima maratona sarà molto più facile.

Lo scarso allenamento

Qui ovviamente il termine “scarso” può assumere mille significati, sia qualitativi sia quantitativi. È importante però cercare di evidenziare, in ordine di importanza, gli errori più comuni.

  1. Quantità – Quantità di km settimanali inferiore a 60. Senza una buona quantità, la probabilità del muro è molto alta.
  2. Lunghissimi – Assenza di almeno tre lunghissimi di cui uno di circa 35-36 km nei due mesi prima della maratona. Senza di essi la probabilità del muro è molto alta.
  3. Peso dell’atleta – Se il soggetto è in sovrappeso atletico (IMC superiore a 22), la probabilità del muro è molto alta.
  4. Velocità – Assenza di lunghissimi corsi in modo uniforme e piuttosto svelto (al massimo a ritmo gara+10″; questo punto è tanto più importante quanto più l’atleta è lento). Senza velocità nei lunghissimi la probabilità del muro è alta.
  5. Ultimo lunghissimo – Di solito il più lungo, non oltre 18 gg. dalla gara. Se troppo in là, la probabilità del muro è alta.
  6. Scarico – Fondamentale l’ultima settimana. Con troppo scarico (riposo più o meno assoluto) o poco scarico, la probabilità del muro è significativa.
  7. Predisposizione individuale – Se l’atleta non è un maratoneta, deve fare in modo di diventarlo nel tempo, non continuare a picchiare contro la maratona. Si veda il test fondamentale. Se il test non è superato, la probabilità del muro è significativa.

Ogni punto è legato a errori classici:

  1. Tipico di chi non ha tempo. È veramente ottimistico pensare di allenarsi bene per una maratona correndo due volte alla settimana per un totale di 30-40 km oppure correndo anche 5 volte alla settimana, ma senza mai superare i 10-12 km.
  2. Si pensa che basti arrivare a 28-30 km per “fare la distanza”. Errore tipico di chi non ha la mentalità del maratoneta (e trova le energie mentali per correre per 3 o 4 ore solo in gara) o di chi ha poco tempo.
  3. Errore tipico di chi pensa di poter fare sport senza curare l’alimentazione. Ognuno di noi ha una massima quantità di carboidrati immagazzinabile nei muscoli e nel fegato (glicogeno). A parità di massa muscolare, se si è più grassi si spende di più (si è più pesanti) con la stessa quantità di benzina e la propria autonomia finisce prima.
  4. Errore tipico della vecchia scuola, è ancora sposato da chi ha paura di eccedere in allenamento o non vuole spremersi oltre misura. Se il soggetto non ha corso lunghissimi vicini al ritmo gara, la sua maratona diventa del tutto imprevedibile perché non si può sapere come reagirà alla distanza, abbassando per un periodo di tempo sufficientemente lungo il ritmo della prova.
  5. Molti atleti non avvezzi alla maratona pensano di non recuperare un lunghissimo se corso troppo vicino alla gara e si concedono tre o quattro settimane di tempo per recuperarlo. Se l’atleta non è abituato a correre lunghissimi tutto l’anno, ma per esempio viene dalle gare più brevi, le caratteristiche fisiologiche di resistenza prolungata si deallenano velocemente e tre settimane riportano il soggetto “indietro” nella preparazione.
  6. Alcuni atleti eseguono una preparazione (per loro) troppo dura e sentono il bisogno di recuperare completamente, altri vivono sempre nell’incertezza che allenamenti troppo blandi facciano perdere loro la forma, altri infine si abbuffano di carboidrati per farne il pieno, non sapendo che oltre un certo limite il corpo non ne conserva, trasformando il resto in grasso con evidente aumento di peso. L’ultima settimana dovrebbe essere vissuta con molto equilibrio.
  7. È forse il punto più difficile da comprendere per molti runner che non accettano di non essere (ancora) predisposti per la maratona. Chi da ragazzo ha praticato calcio, tennis, basket, chi viene dal mondo della palestra ha negli anni sviluppato un fisico più portato alla potenza che alla resistenza. È quindi fuorviante il paragone con l’amico che da sedentario in un anno è riuscito a correre con successo la maratona: ognuno ha caratteristiche individuali che si possono modificare, ma la modifica richiede tempo. Il test sopraindicato è pertanto fondamentale per capire la propria predisposizione alla distanza.
Non sottovalutate i punti che abbiamo discusso e il muro si appiattirà sino a diventare una semplice cunetta.
Fonte : www.albanesi.it
MARATONA: IL MURO DEL 30.o CHILOMETROultima modifica: 2010-02-22T07:32:51+01:00da
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